«Pinocchio», il burattino senza fili in cerca di se stesso


Il film di Matteo Garrone è un flusso di colori, paesaggi, personaggi , simboli e idee di cui discutere a scuola

Pinocchio, il film di Matteo Garrone, non è la versione cinematografica del capolavoro di Carlo Lorenzini, in arte Collodi, ma un’opera solo in apparenza fedele all’originale che suona una musica del tutto diversa. Non si tratta di una rilettura in chiave oscura della celebre favola, ma di un vero e proprio arrangiamento con numerose improvvisazioni e deviazioni dal tema principale. Il regista rispetta l’impianto narrativo dettato da Collodi senza restarne imprigionato e porre limiti alla propria immaginazione creando una serie di personaggi unici e lontani dal consueto immaginario, oltre a trovare un senso del tutto nuovo alle fantastiche peripezie del burattino senza fili nato povero, bugiardo e disubbidiente.

Il film di Matteo Garrone è un flusso di colori, paesaggi, personaggi, simboli e idee da cui prende vita, scena dopo scena un Pinocchio finora sconosciuto.

Il punto di partenza è il legno dotato di vita propria a cui Geppetto dà un cuore e la forma di burattino. Pinocchio è un ibrido, né bambino per la materia di cui è fatto, né marionetta. Fin dall’inizio Garrone ci pone di fronte alla meraviglia e ai limiti di questa creatura costretta dalla sua natura a correre alla ricerca di un’identità e del significato della propria esistenza.

Il film è un vero campionario di ibridi di cui viene sfruttato il potenziale comico e a volte drammatico delle loro grottesche apparenze. Il Grillo Parlante, interpretato da Davide Marotta, è una creatura metà saggia e metà bambina che alla petulante missione di consigliere del discolo Pinocchio alterna una natura maldestra e spesso ridicola. La lumaca, incarnata da Maria Pia Timo, è una sorta di nonna affettuosa che vive lentamente e fuori dal mondo. Il gorilla a cui ha dato espressione Teco Celio, è un personaggio surreale dotato di una forza comica che va oltre il ruolo di giudice del tribunale dove l’innocenza è sempre colpevole. I burattini hanno il carattere e i fili che Pier Paolo Pasolini ha messo alle sue marionette in Uccellacci e Uccellini. Nella scena di Pinocchio prigioniero nel carro di Mangiafuoco manca solo di sentire la voce di Domenico Modugno cantare Cosa sono le nuvole.

Accanto agli ibridi c’è un campionario di poveri disperati e senza umanità che va dal grottesco maestro di scuola che tormenta gli alunni con continue domande, bacchettate e punizioni da scontare in ginocchio sui ceci, all’usuraio che porterebbe via ai suoi clienti anche i pantaloni, fino all’ipocrita responsabile del Paese dei Balocchi che trasforma i bambini in asini da vendere al mercato.

Dai ruoli secondari ai primari la carta vincente giocata da Garrone è avere cercato un’orchestrazione simile a quella delle grandi band di musica jazz dove nessuno fa da spalla agli altri, nemmeno il banditore del circo dei burattini che in una delle prime scene del film incontra Geppetto curioso di vedere com’è fatto un burattino. Proprio dalla proverbiale povertà e dall’umanità del falegname inizia la narrazione di Garrone che non perde l’occasione di descrivere la condizione sociale dell’Italia descritta da Collodi con la stessa vena satirica ma con immagini proprie. Al camino dipinto sul muro descritto dallo scrittore, si sostituisce lo scalpello che tormenta una vecchia crosta di formaggio ormai trasparente.

Il desiderio di paternità di Geppetto e il rapporto dell’improbabile genitore con l’ibrido Pinocchio avrebbe potuto essere il centro del film anche solo per sfruttare la presenza di un ottimo Roberto Benigni. Il racconto di Garrone però non perde di vista il dramma dell’ibrido Pinocchio, sotto il cui incredibile trucco recita il bravissimo Federico Ielapi, che non trova né nel ruolo di un figlio che non può crescere né in quello di burattino senza fili accanto ai fratelli del circo di Mangiafuoco il suo posto. Per questo di Geppetto nel film si perdono le tracce fino all’incontro nel ventre della Balena. Pinocchio rivela la sua natura di monello e ribelle che ha bisogno di una normalità di cui capirà il senso grazie all’esempio della fata dai capelli turchini prima bambina, Alida Baldari Calabriala, e poi adulta, Marine Vacth.

Un incontro che completa l’opera del padre che lo ha formato e gli ha donato un cuore. Crescere è l’imperativo dell’ibrido burattino, una verità che si svela grazie alla fata e al contatto con le dure prove a cui è sottoposto. Il rischio di morire per ultimare la cottura del montone di Mangiafuoco, interpretato da Gigi Proietti, quello di morire impiccato per mano del Gatto e della Volpe impersonati dalla riuscita coppia formata da Rocco Papaleo e Massimo Ceccherini.

Nel suo percorso Pinocchio incontra Lucignolo, il bambino che avrebbe voluto essere e da cui è attratto.

Un modello che gli impedisce di sottrarsi alla cattiva sorte da cui è perseguitato finché comprende l’importanza di crescere: l’unica strada per fuggire dalla miseria che lo circonda. Lucignolo in fondo è un bambino, uno scugnizzo senza futuro a cui solo Garrone ha pensato di dare una seconda occasione.

Nel finale tra le tante variazioni sul tema è esemplare l’idea del decadimento fisico del legno di cui è fatto Pinocchio, un materiale che si crepa, graffia e riempie di buchi. Collodi avrebbe di certo apprezzato la cura con cui il Benigni/Geppetto si prende cura del suo burattino cercando di porre rimedio ai guasti del tempo.

Cercare nuove soluzioni, migliorare, perfezionarsi significa continuare a vivere.